2ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C
Canto
Atto penitenziale
Signore Gesù, venuto a cercare la pecora smarrita, vieni a cercare anche noi smarriti sui nostri sentieri e abbi pietà di noi.
Signore, pieta!
Cristo Signore, venuti a cercare la moneta perduta, vieni a cercare anche noi perduti nella tenebra del peccato e abbi pietà di noi.
Cristo, pietà!
Signore Gesù, venuto a cercare e a salvare chi era perduto, vieni incontro anche a noi lontani da te e abbi pietà di noi.
Signore, pietà!
Gloria
Colletta
O Padre, che in Cristo ci hai rivelato la tua misericordia senza limiti, donaci di accogliere la grazia del perdono, perché la Chiesa si rallegri
insieme agli angeli e ai santi per ogni peccatore che si converte. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio che è Dio e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
LITURGIA DELLA PAROLA
Prima Lettura Es 32,7-11.13-14
Dal libro dell’Esodo
In quei giorni, il Signore disse a Mosè: «Va’, scendi, perché il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto, si è pervertito. Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicato! Si sono fatti un vitello di metallo fuso, poi gli si sono prostrati dinanzi, gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: “Ecco il tuo Dio, Israele, colui che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto”».
Il Signore disse inoltre a Mosè: «Ho osservato questo popolo: ecco, è un popolo dalla dura cervìce. Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li divori. Di te invece farò una grande nazione». Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio, e disse: «Perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto con grande forza e con mano potente? Ricòrdati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi servi, ai quali hai giurato per te stesso e hai detto: “Renderò la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo, e tutta questa terra, di cui ho parlato, la darò ai tuoi discendenti e la possederanno per sempre”».
Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo.
Parola di Dio. Rendiamo grazie a Dio.
Salmo responsoriale dal Salmo 50 (51)
Rit. Ricordati di me, Signore, nel tuo amore.
Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;
nella tua grande misericordia
cancella la mia iniquità.
Lavami tutto dalla mia colpa,
dal mio peccato rendimi puro.
Rit.
Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito saldo.
Non scacciarmi dalla tua presenza
e non privarmi del tuo santo spirito.
Rit.
Signore, apri le mie labbra
e la mia bocca proclami la tua lode.
Uno spirito contrito è sacrificio a Dio;
un cuore contrito e affranto tu, o Dio, non disprezzi..
Rit. Ricordati di me, Signore, nel tuo amore.
Seconda Lettura 1Tm 1,12-17
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timoteo
Figlio mio, rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede, e così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù.
Questa parola è degna di fede e di essere accolta da tutti: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Cristo Gesù ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna. Al Re dei secoli, incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.
Parola di Dio. Rendiamo grazie a Dio.
Canto al vangelo 2Cor 5,19
Alleluia, alleluia.
Dio ha riconciliato a sé il mondo in Cristo,
affidando a noi la parola della riconciliazione.
Alleluia, alleluia.
VANGELO Lc 15,1-32
Dal Vangelo secondo Luca
Gloria a te, o Signore.
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.
Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».
Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo.
Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».
Parola del Signore. Lode a te, o Cristo.
La professione di fede
Io credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra; e in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte; salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente; di là verrà a giudicare i vivi e i morti. Credo nello Spirito Santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne, la vita eterna. Amen.
Facciamo festa,
perché questo
mio figlio era morto
ed è tornato in vita
La nostra preghiera di oggi
Prete: Il nostro Dio è grande nell’amore e nel perdono. Apriamo a lui il nostro cuore, perché con la sua grazia ci rinnovi interiormente. Diciamo:
Converti il nostro cuore, Signore!
• «Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io».
Perché la Chiesa nella consapevolezza della propria miseria e del proprio peccato sappia riconoscere la grandezza della misericordia del Padre, e diventi sempre più testimone e strumento di perdono…
• «Crea in me o Dio, un cuore puro… Donami la gioia del perdono».
Perché lo Spirito di Dio ci renda più umili e più sensibili verso i fratelli, capaci di vivere l’esperienza gioiosa del perdono…
• «Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli si gettò al collo e lo baciò».
Gesù Cristo rendici simili al Padre che ci usa infinita misericordia e perché ogni nostra convivenza umana sia animata dal perdono…
• «Egli si indignò… Io non ho mai trasgredito un tuo ordine e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa».
Aiutaci Signore a non comportarci come se tutto fosse dovuto, vinci le nostre gelosie che ci impediscono di crescere nella comunione; e perché possa crescere in noi lo spirito della gratuità e del servizio…
• «Tu sei sempre stato con me e tutto ciò che è mio è tuo».
Perché il nostro cuore si apra alla consapevolezza della comunione con te e si rinnovi la speranza della resurrezione per (….. e) e i nostri fratelli defunti…
Prete: O Padre, tu ci hai amati per primo quando eravamo ancora peccatori; concedi che attirati dal tuo amore, possiamo sperimentare l’efficacia del tuo perdono che ci rinnova. Per Cristo nostro Signore. Amen.
Canto all’offertorio
Santo
Agnello di Dio
Antifona alla comunione
Facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. (Lc 15,23-24)
Comunione
Canto finale
Per la preghiera a casa
Orientamenti per la preghiera
Leggere nella bibbia: Osea 11,1-11; 2Corinti 5,16-21; Efesini 2,1-10; 3,14-24
Letture di domenica prossima, XXV del tempo ordinario
Amos 8,4-7; Salmo 113; 1Timoteo 2,1-8; Luca 16, 1-13
L’abisso della miseria
e l’abisso della misericordia
Questa domenica di solito viene chiamata “Domenica del figlio prodigo”, a motivo della parabola che abbiamo appena ascoltato. Tuttavia l’evangelo non riporta alcun titolo per questo episodio, e poi mette l’accento soprattutto sul padre, su questo padre misericordioso. L’uno e l’altro sono infatti inseparabili, come ciascuno di noi è inseparabile dal Padre. Per capire ciò che accade in noi, dobbiamo anzitutto comprendere lui. Nella parabola, partiamo da un padre misconosciuto, per giungere alla fine a un padre che viene riconosciuto come tale. Per questo il medesimo percorso ci aiuta a capire meglio quel che siamo: un figlio, sì, ma che conosce la morte, che è perduto; un figlio che ritorna alla vita, che viene ritrovato soltanto perché alla fine del proprio cammino riconosce il Padre. Cerchiamo allora di comprendere che per diagnosticare i mali di ogni specie vi è un’unica luce, la “luce del tuo amore” abbiamo recitato poco fa nella preghiera di conversione: è la luce del tuo amore, Signore, a dissipare le angosce, i dubbi, le paure che agitano il mio cuore.
È vero, noi misconosciamo il Padre, come il figlio della parabola, ed è per questo che conosciamo la morte in tutte le sue forme, che siamo perduti. Abbiamo un sacco di idee riguardo a Dio, ma ciò non cambia nulla nelle nostre vite se non si giunge a conoscerlo in modo intimo e vitale come Padre. Sì, anche noi, quando ci va male – e capita piuttosto di frequente – reclamiamo la parte che ci spetta, mentre non riconosciamo che ciò che siamo – il nostro mistero personale è il bene più grande – lo siamo soltanto in quanto siamo amati. E non lo siamo solamente in quanto veniamo amati dai nostri genitori, per essere poi proiettati nella vita con l’onere di assumerla. Certo, siamo persone responsabili, il Padre ci rispetta: prova ne sia che fin dall’inizio della parabola egli acconsente alle nostre richieste. Ma ad ogni modo, il bene che siamo proviene incessantemente da lui: in ogni istante noi nasciamo da lui. Pensarlo lontano, separato, rivale, è l’inizio della nostra incomprensione.
A quel punto cominciamo a buttar via il nostro bene e ad avvertire, ed è una fortuna che sia così, un certo vuoto interiore. È salutare sentire questo vuoto che ci invita a ritornare sulla via della verità. Geremia direbbe che abbiamo “scavato delle cisterne screpolate” e che abbiamo “dimenticato la sorgente” (cfr. Ger 2,13), che si trova sempre in noi, altrimenti non saremmo più.
Noi conosciamo la morte, conosciamo la sofferenza, un mare di preoccupazioni, ed eccoci smarriti. Ci sentiamo “perduti”. Cosa significa tutto questo? Ancora una volta, un senso ci viene offerto se ci volgiamo verso colui che non avevamo riconosciuto. In questo nuovo sguardo, scopriamo allora che tutte le nostre sofferenze sono la sua sofferenza. Non è una cosa che possiamo dedurre a partire dalle nostre idee su Dio: solo Gesù ci fa conoscere il Padre. È nella sofferenza di Gesù che la sofferenza del Padre può essere conosciuta. La sofferenza di Gesù è la nostra, Paolo ce lo ha ricordato poc’anzi a proposito del nostro corpo, del nostro essere: non ci apparteniamo più (cfr. 1Cor 6,19). Le nostre sofferenze, le nostre stupidità, i nostri peccati, Gesù li assume su di sé, tutto gli appartiene. Ecco la sofferenza misteriosa del Padre.
È una sofferenza insopportabile, ed è per questo che egli fa di tutto per farci tornare a lui. È lui a suggerirci, mediante il suo Spirito, di cambiare, di convertire il nostro cuore. Cerchiamo di capire che questo ritorno è molto più che riprendere in mano una vita un po’ disordinata, o molto più della vaga decisione di migliorare la nostra condotta: limitandoci a questo saremmo ancora lì in cerca di noi stessi, dimentichi di lui.
La conversione dell’evangelo è molto più semplice: si tratta di tornare verso il Padre, così come siamo. Il figlio scialacquatore non si è rifatto una bellezza prima di presentarsi a suo padre. Pensiamo al quadro di Rembrande il giovane è sfigurato, i suoi piedi profondamente segnati dalle ferite, è irriconoscibile… ma il Padre ci conosce, ci riconosce senza stancarsi mai. Non solo ci “scorge di lontano”, come dice la parabola, ma il suo sguardo non ci ha mai lasciati. Quanto più siamo nella miseria, tanto più egli mostra la sua misericordia.
Lasciamoci attrarre a lui. Il giovane non è tornato verso il padre solo perché avvertiva la privazione, ma perché l’amore del padre non l’ha mai lasciato. Questo amore è lo Spirito santo, che riposa dall’eternità sul Figlio amato, e nel tempo su Gesù. Lo Spirito non ci lascia mai, ci attrae. La dolcezza dello Spirito attrae senza costringere.
Se capiremo almeno un poco che cos’è questo ritorno, scopriremo che siamo la gioia del Padre. Non solo quando ci comportiamo bene: anzi, rischiamo in quei momenti di essere talmente soddisfatti di noi stessi da diventare come il figlio primogenito della parabola! Fortunatamente, però, la miseria non ci viene mai a mancare, essa è la fonte da cui il Padre fa sgorgare la speranza, perché la miseria si apre alla misericordia, è sempre “l’abisso che chiama l’abisso” (Sal 42,8).
Noi siamo la gioia del Padre. Pensiamoci almeno ogni domenica, durante l’eucaristia, perché è questo il banchetto preparato per noi tutti. Siamo tutti peccatori perdonati. Nel banchetto eucaristico, siamo la gioia del Padre.
Quanto al sacramento della penitenza o della riconciliazione, nel quale spesso ravvisiamo una maniera per sbarazzarci delle nostre colpe o per imbellettarci al fine di sembrare accettabili ai nostri stessi occhi, il suo motivo più profondo dovrebbe essere sempre la gioia del Padre.
Ci stiamo incamminando verso la quaresima. Il Padre ci chiama in ogni momento a convertirci per la sua gioia: seguendo quella via diventeremo ciò che siamo veramente. Ed è quella medesima gioia che potremo a nostra volta riverberare se acconsentiremo ad essere amati.
Il Figlio amato, la vigilia della sua passione nella quale ha assunto tutte le nostre miserie e i peccati del mondo intero, supplica il Padre, perché ci sia donata la vita. E 1a vita”, ci dice Gesù, “è che conoscano te, Padre” (Gv 17,3). Chiediamo con insistenza, nel corso di questa liturgia, la conoscenza di Dio, perché è nostro Padre. Noi lo conosciamo perché ci ama. “Dio è amore, e noi gli abbiamo creduto” (cf. Gv 4,16). E nella misura in cui crederemo in lui, in cui saremo offerti al suo amore misericordioso, noi vivremo.
Jean Corbon
Avvisi della settimana
Gli appuntamenti della settimana. Le notizie e gli avvisi delle attività svolte in questa settimana.