IL TERRITORIO

Le chiese delle due parrocchie sorgono distanti fra loro circa 1 Km sulla via Pisana, importante strada di comunicazione di Firenze in direzione Pisa. Lungo questa via ad intervalli quasi regolari, dal 1000 circa, sono nate varie chiese e comunità parrocchiali.

San Quirico a Legnaia pare esistesse già nell’anno 1000.
La chiesa, attualmente di un leggero stile barocco, accoglie fino a 160 persone (attuali 80 posti covid).

Documentata sin dal 1172 la Chiesa di San Lorenzo a Ponte a Greve ebbe notevole importanza per essere costruita presso il ponte sul torrente Greve, il ponte più vecchio di Firenze.
Anticamente recintata da mura come in un fortino e collegata ad una torre a difesa strategica del passo lungo la via Pisana era la dogana e la postazione di posta per Firenze (il famoso “un fiorino” di Benigni).
La chiesa è molto piccola, con circa 100 posti (attuali 45 posti covid).
Simbolo del piccolo borgo storico il tabernacolo costruito intorno al 1350 sul Ponte con l’affresco della Madonna con bambino e santi di Bicci di Lorenzo.

L’espansione dell’urbanizzazione ha stravolto la realtà di questa zona.
Tra gli anni ’50 e ’60 la vita del Quartiere si svolgeva lungo la via Pisana poiché era qui che vivevano le famiglie. Negli immediati dintorni vivevano i contadini che coltivavano i terreni circostanti. A cinquanta metri di distanza da ciascuna delle due chiese nasce una Casa del Popolo e queste due realtà rimarranno per molti anni separate.
Ad oggi la zona, considerata ormai periferia di Firenze al confine con il comune di Scandicci, ha comunque ancora un forte senso identitario di borgo e di quartiere.

Abitanti al 31 dicembre 2019

San Lorenzo a Ponte a Greve:
Residenti 4.863 residenti e 2.312 famiglie.
I residenti con cittadinanza straniera sono 605 (principalmente Albania, Romania, Cina)

San Quirico a Legnaia
Residenti 8.928 persone e 4.160 famiglie
I residenti con cittadinanza straniera sono 938 (principalmente Albania, Romania, Perù)

Totali
Abitanti 13.791
Con una media di età tra i 40 e i 55 anni.

La chiesa così come la vediamo oggi è il risultato di numerosi interventi; abbiamo notizia delle modifiche che si sono succedute da fine Ottocento fino ad oggi grazie a questo testo del libro di Giampaolo Trotta “Oltre la Greve”.
Alla fine dell’Ottocento si decide di ristrutturare ed ampliare la chiesa di S. Lorenzo al Ponte a Greve(1). Il parroco, Attilio Brogioni, con il concorso degli Origo(2), ancora patroni della chiesa, dà incarico del progetto all’ingegner Oreste Formigli (3), che redige una perizia il 24 febbraio 1897(4), cui ne seguirà un’altra relativa ad ulteriori lavori predisposti (i pagamenti al professionista sono del 1909).
Per tali ingenti opere il parroco chiede anche un mutuo al Monte dei Paschi di Siena. Esplicate tutte le pratiche, il cantiere risulta in pieno fervore nel 1906/’7, sotto la direzione del Formigli, che il 20 giugno 1906 è pagato a saldo anche per la “Perizia, Progetto e Collaudo” relativi alle opere eseguite nelle case da “pigionali” di proprietà della chiesa.

Demolita la parete absidale, l’edificio è ampliato con l’addizione di un nuovo presbiterio ed il livello del pavimento viene, anche in questo caso, rialzato.
Secondo la moda imperante, pure a Firenze, tra Otto e Novecento, all’edificio sacro viene impresso un carattere decisamente neogotico, conforme a quel Gothic Revival che aveva caratterizzato l’Europa – e non solo – del XIX secolo e che, nel capoluogo toscano, era stato codificato non tanto dagli interventi del Matas a S. Croce (1854/’63), quanto da quelli del De Fabris a S. Maria del Fiore (1870/’87), decisamente “in ritardo” rispetto ad altre regioni e, soprattutto, ad altri stati(5).
Se l’eclettismo neorinascimentale, propugnato dal Poggi come insostituibile linguaggio unitario della nuova Italia, con il suo decor aveva informato di sé l’intera città e gli spazi della borghesia liberale, nelle nuove periferie, ma soprattutto nei dintorni, nei ‘traguardi ottici’ di riferimento nel paesaggio, si era affermato l’amore per il ritorno ad un medioevo austero e ferrigno, di rustica ed orgogliosa matrice locale, esaltata dall’uso della pietraforte. Tale filone autoctono, che “ripescava” filologicamente nelle architetture della Repubblica Fiorentina, però, è influenzato anche da esperienze medievali d’Oltralpe, così come il Neorinascimento del Poggi non è solo Rinascenza toscana, ma sapiente mescolanza eclettica di disparate citazioni anche venete e romane, poi sfociate nello Stile Albertino. Qui la motivazione, invece, non sta tanto – o non solo – nella ricerca di un nuovo linguaggio nazionale (il Romanico e il Gotico alla base dell’Italia moderna), quanto forse in quella estetica influenzata anche dallo storicismo delle colonie straniere.
Intellettuali, proprietari ed antiquari dell’epoca, innestando alcuni elementi ultramontani sulla robusta “pianta nazionale” del Medioevo italiano, attuano una scelta “patriotica” maggiormente aperta all’Europa, in quel clima cosmopolita che caratterizza la Florentia felix di fin du siècle e fino alla guerra mondiale.

Dalla collina di Bellosguardo la forte colonia inglese irradia non solo l’amore per il Rinascimento, ma anche quello per il Medioevo, che puntualmente ritroviamo anche in tutta la zona sudoccidentale: dalla Torre del Gallo al Castello di Marignolle; da villa Franceschi a Scandicci Alto alla cappella Farinola di Torre Galli (L. Del Moro, 1874); dal cimitero evangelico degli Allori (G. Boccini, 1870) a quello di Soffiano (M. Maiorfi, 1894). Nel campo dell’architettura religiosa – in cui il “ritorno al Medioevo” ha pure un connotato simbolicamente austero ed evangelico, quasi “preraffaellita” – rammentiamo ancora, nella zona, la cappella del convento di S. Verdiana a Bellosguardo (S. Pirisini, 1888); la chiesa di S. Leone Magno (S. Pirisini); i restauri in stile di quelle di S. Maria a Marignolle (E. Cerpi, 1903) e di S. Maria a Soffiano (1872/‘73); la ricostruzione del campanile di S. Martino alla Palma (1884)(6). Sono solo alcuni esempi di quella quasi sterminata serie di spazi rimodellati internamente secondo forme neogotiche (fino a comprendere gli arredi e le suppellettili) che, come a S. Lorenzo, il ‘rifiuto’ codificatosi negli Anni Cinquanta-Settanta ha quasi del tutto cancellati. Come ha giustamente osservato Dezzi Bardeschi(7), «ogni ri-proposta fatta per immagini frugando e rifrugando nel sempre compiacente magazzino-archivio delle Forme […] porta con sé un singolare effetto di Stile che non può che far “delirare” l’archetipo, distorcendo il modello e assoggettandolo ad una inevitabile eretica erosione dal suo stesso interno».

Interno del 1907 della chiesa di San Lorenzo a Ponte a Greve Per questo, oggi, possiamo osservare la ristrutturazione neogotica di S. Lorenzo più nelle foto d’epoca che nella realtà.

La navata è scandita da tre arcate sestiacute su ognuna delle due pareti longitudinali, cieche ad eccezione della terza a sinistra, che immette nella cappella laterale. Le ghiere degli archi presentano finti conci dipinti, alternativamente chiari e scuri, secondo l’uso del policromismo medievale in marmo; i semipilastri che li sorreggono hanno spigoli smussati e sono connessi perimetralmente da un cornicione con sottocornice dentellata. Al di sopra degli archi si aprono oculi con vetri piombati; la copertura, a capriate, presenta i consueti motivi decorativi geometrici medievali (due-trecenteschi).
I lavori sono eseguiti dalla ditta Angiolo Bolognesi (saldata nel 1914)(8); le decorazioni da Francesco Innocenti (come risulta dai pagamenti del giugno e agosto 1907) e da Gino Frittelli (saldo del maggio del medesimo anno).

L’affresco con la Madonna del latte è staccato, rimontato su rete metallica, nuovamente murato lungo la parete destra (all’interno dalla prima arcata cieca) e restaurato dal pittore Giuseppe Dini (pagamenti del 4 luglio 1907 e del 19 marzo 1908).

La Madonna del Latte – affresco del sec XV

Due semipilastri e due pilastri a sezione ottagonale, con capitelli a foglie, sorreggono brevi architravi laterali, su cui si imposta l’arcone sestiacuto che divide la nave dal presbiterio, arcone qualificato anch’esso da finti conci in bicromia. Il presbiterio ha un “pavimento a mosaico a pezzi grossi”, eseguito dalla ditta Pavimenti alla Veneziana di Oreste Loioli & Nipoti (pagamento del 31 luglio 1907), e un altare alla romana con due gradi ed ara su colonnini laterali. Perimetra le pareti un’ampia fascia dipinta a motivi geometrici; tra i due pilastri frontali è un balaustrato con un piccolo cancello ligneo traforato a motivi medievali, opera del falegname Ettore Gazzeri (pagamenti del 1907). Allo stesso artigiano dobbiamo anche la “balaustrata con mensole, dell’Organo“, che si innalza nella parete di fondo del presbiterio, cui si accede da un ambiente della canonica, a destra, e al cui montaggio collabora anche il falegname Agostino Maioli.

Tale cantoria è sorretta da mensoloni a volute ed ha un parapetto con pannellature decorate da elementi circolari traforati. Qui è l’organo, la cui mostra è incentrata su un grande arco sestiacuto lumeggiato d’oro e alla quale lavora il “legnaiolo” Angiolo Raddi nello stesso 1907 (“Fatti due parapetti per l’Organo [.. .]; più fatto il coperchio che fa da tetto all’organo […]; fatti gli sportellini all’organo […]”). Lo strumento è restaurato e accresciuto di due registri (un Clarone e un’Unda Maris “ossia voce tremula dal Do n.° 27”, che vanno “molto bene per l’ambiente più amplio”) da Pietro Paoli, appartenente a quella nota famiglia di organari autrice, sessantacinque anni prima, del rammentato organo di Ugnano (perizia del 19 gennaio 1907; pagamento di lire 300 del 19 agosto del medesimo anno).
La copertura del presbiterio è realizzata mediante una volta a crociera, con nervature decorate a motivi geometrici, fitomorfi e con teste di angeli, e nelle cui quattro vele, con fondo a cielo stellato (costato ben 450 lire), secondo la tipologia trecentesca, sono altrettanti tondi con Cristo benedicente, un Angelo, S. Lorenzo, Papa Sisto, opera dei medesimi pittori precedentemente rammentati.

Il nuovo pulpito fu costruito dal Raddi, già ricordato (saldo del 9 febbraio 1908), mentre Zulimo Bernardi costruì gli arredi fissi: due confessionali e il ciborio per l’altar maggiore, tutti rigorosamente in “stile Trecento” (giugno 1907). Purtroppo, ad eccezione delle sole membrature architettoniche (ritinteggiate di grigio) e delle pitture della crociera, nulla rimane di questo interno neo-medievale d’inizio secolo, un vero “spaccato” storico del gusto dell’epoca.

Per l’inaugurazione della chiesa, il 4 agosto 1907 fu realizzata “una piccola macchina di fuochi artificiali” dalla ditta Agostino Tazzi; l’intero paese venne illuminato a festa dalla “rinomata Ditta Fratelli Ticci” di Pieve a Settimo (“fiaccolate e decorazioni per Feste Sacre e popolari”), così come furono illuminati la “nuova” facciata dell’edificio sacro (compositivamente incentrata sul portale architravato neomedievale, sormontato da lunetta sestiacuta con la raffigurazione a mosaico di S. Lorenzo) ed il campanile, con la sua guglia a bulbo.

Venne montato il palco per la musica ed il coro di Quinto eseguì la messa cantata. Semplici feste popolari di quel borghetto ancora suburbano, tra colline e pianura impeccabilmente coltivate, nelle “notti” estive di S. Lorenzo: di lì a pochi anni la Grande Guerra avrebbe spazzato via la serenità anche delle popolazioni di queste terre.
In quegli stessi anni l’elettrificazione della linea tranviaria Firenze-Casellina collegava in modo migliore i borghi lungo la via Pisana alla città e al capoluogo della Comunità suburbana, divenendo tale strada sempre più arteria fondamentale per l’economia e la vita di queste zone.

 


  1. La canonica aveva subito alcuni interventi di ristrutturazione già all’inizio del XIX secolo, allorché, nella sala al primo piano, venne realizzato un caminetto in pietra serena, con stipiti lavorati e foglia d’acanto fiancheggiata da volute scolpita nell’architrave, secondo stilemi ancora tardosettecenteschi.
  2. C. C. CALZOLAI, 1970, p. 92.
  3. Il Formigli era socio del Collegio degli Architetti e Ingegneri di Firenze dal 1876; dal 1891 al ’93 aveva restaurato, con Enrico Ceramelli, la cupola e il campanile di S. Frediano in Cestello. Fece parte della commissione per la compilazione del noto Dizionario Tecnico, promosso dal Collegio rammentato. Su di lui vedasi: C. CRESTI – L. ZANGHERI, 1978, p. 98.
  4. Per queste e le notizie seguenti vedasi: A.P.P.G., Lavori di ampliamento della chiesa, carte sciolte non inventariate né numerate.
  5. Ved.: Il Neogotico nel XIX e XX secolo, a cura di R. BOSSAGLIA, atti del convegno, Milano 1989.
  6. G. CONTORNI, i dintorni di Firenze e il Neogotico: progetti, restauri e nuove architetture, in Il Neogotico […], 1989, vol. II, pp. 300-306; G. TROTTA, 1989, p. 194.
  7. M. DEZZI BARDESCHI, Neogotico, una questione di stile, in Il Neogotico […], 1989, vol. I, p. 413.
  8. A.P.P.G., carte sciolte non inventariate né numerate. Lo stesso vale anche per tutte le notizie seguenti

Tra le strade di epoca romana, che attraversavano e si dipartivano da Florentia, vi era la via per Pisa al cui terzo cippo miliare (miglio), sorgeva la chiesa di San Quirico a Legnaia.
Il termine Legnaia prende il nome dal latino “Lignaria” ovvero luogo dove viene custodito e lavorato il legname. Infatti, tutta la zona fin dai tempi dei romani era ricca di alberi, e le attività che in prevalenza vi si svolgevano erano quelle dei boscaioli e dei falegnami.
L’agglomerato di Legnaia è stato il primo nucleo urbano a sorgere lungo l’antica Via Pisana, strada di notevole importanza già dai tempi degli Etruschi (lungo la direttrice Fiesole – Volterra) e subito dopo strada romana, importante asse portante per la colonizzazione della zona tramite le centurie (da cui Cintoia), appezzamenti di terreno che venivano regalati ai soldati veterani al momento del loro pensionamento.
La strada ebbe una notevole rilevanza anche nel medioevo, tanto da diventare “carrareccia”, cioè con un fondo stradale solido e curato con periodiche manutenzioni.
Si tenga presente che all’estremità est del nostro borgo vi era il “Portus Arni ad Monticellum”, ovvero il porto fluviale del Pignone dove attraccavano i navicelli a fondo piatto, adatti a navigare da Pisa a Firenze e ritorno trasportando ogni genere di merce compreso il legname.
Le prime testimonianze della nostra chiesa risalgono al 1038 anno in cui l’Imperatore Corrado II confermava alla Badia Fiorentina “quiquid tenuit et abuit in loco Legnaia in Sancta Quirico”.
A quei tempi Legnaia, era il borgo più importante della zona, nucleo di chiare origini rustiche che si sviluppò attorno a due chiese che diedero origine al “popolo” di San Michele ed a quello di San Quirico a Legnaia. Qui fu importante la costruzione di uno “Spedale”, quello di San Jacopo, che doveva dare ostello e conforto sia agli infermi che ai “Peregrini” che stavano per entrare in città.
Il termine “Pellegrino” (peregrinus) deriva dal latino “per agros” cioè “attraverso i campi”; indicava quindi tutti coloro che viaggiavano prevalentemente a piedi lungo le precarie strade di allora, ma spesso per fare prima, direttamente attraverso i campi.
Dal catasto del quattrocento apprendiamo l’esistenza di alcune Compagnie Religiose, di queste, la più ricca era quella di San Quirico.
Sempre dello stesso secolo sappiamo di un priorato dato al pittore Fra Filippo Lippi che con bolla del 23 febbraio 1442, era stato nominato da papa Eugenio IV Rettore e Abate Commendatario a vita della chiesa di San Quirico a Legnaia, presso Firenze, e subito investito del beneficio. Da una nota del 1447 risulta che anche il fratello Giovanni fosse stato addetto alla stessa chiesa. Il beneficio non avrebbe però risolto i continui problemi economici del frate, come dimostra un brutto episodio avvenuto nel 1450.
Alla fine di questo anno Fra Filippo avrebbe dovuto versare a Giovanni di Francesco del Cervelliera, pittore, una cifra di 40 fiorini per le sue prestazioni di aiuto e discepolo nella bottega. Non avendo onorato l’impegno ed essendo per questo chiamato in giudizio, il Lippi esibì una ricevuta di versamento della cifra pattuita falsificando la firma dell’allievo. La lite finì davanti al Vicario arcivescovile di Firenze, che mise in carcere entrambi i pittori e li interrogò sotto tortura. Il Lippi, in seguito alla fuoriuscita di un’ernia, confessò la sua falsificazione e fu scarcerato, ma la vicenda non sarebbe più stata dimenticata nell’ambiente ecclesiastico fiorentino tanto che, il 19 maggio 1455, la rettoria di San Quirico a Legnaia gli sarebbe stata formalmente revocata, sia per la condanna di cinque anni prima sia “perché poco sollecito dei suoi doveri”.
Trascorre un solo anno e il frate è di nuovo nei guai: l’11 settembre 1451 viene sottoposto a un secondo processo, questa volta per aver fatto eseguire alla propria bottega una tavola che il committente, Antonio del Branca di Perugia, aveva espressamente richiesto fosse dipinta da lui personalmente. Questa volta il giudizio – del laico Tribunale di Mercatanzia – deve essergli stato favorevole, perché il prezzo di 70 fiorini gli viene saldato.
Nello stesso anno il Lippi risulta essere proprietario di una casa in via della Chiesa, non lontano dal Carmine: è nominato infatti come confinante in una denuncia di beni al Catasto nel 1450.
Durante la sua permanenza a San Quirico non lasciò nessuna traccia delle sue opere.
Anche in un disegno del grande Leonardo da Vinci appare la spiga fluviale di Legnaia, mentre nel 1500 sono ricordate in zona proprietà di famiglie come gli Strozzi, Capponi e Frescobaldi.

Il priorato della chiesa appartenne fin dai tempi antichissimi fino agli ultimi decenni del secolo XIV alla potente famiglia dei Bosticchi, quindi i Pucci ed infine i Frescobaldi.
Arriviamo così alla fine del 1800, quando avviene la demolizione della vecchia chiesa, di cui purtroppo non abbiamo nessuna fotografia che ci documenti il suo stato. Quasi certamente era di modeste dimensioni, ad una navata con tetto a capanna e di stile romanico.
L’ingresso principale si trovava in via di San Quirico, di cui si possono vedere ancora intatte sia il portone che la struttura muraria. La chiesa fu demolita perché una parte sporgeva in via Pisana rendendo difficoltoso il passaggio dei carri e dei barrocci e per naturale aumento della popolazione.
Il 4 novembre 1898 la giunta fiorentina deliberava e stanziava un prestito di Lit. 24.000. Il vincitore dell’asta fu il costruttore Sig. Minchioni che assicurò di fare il tutto con  Lit. 18.737,30. Ma a lavoro finito la spesa salì all’esagerata cifra di Lit. 44.718,34.
In appena due anni fu finita nella sua essenzialità ed ora si presenta a croce latina, di stile rinascimentale Brunelleschiana; lunga 32 metri e larga nei transetti 18,60 metri.
Un doppio cornicione marcapiano corre lungo il perimetro interno della stessa e al di sopra fanno luce, monofore e tondi con vetri colorati, mentre la cupola è sostenuta da ariosi archi e da finte colonne scanalate e terminati con capitelli di stile corinzio.

La chiesa è dedicata S. Quirico è uno dei più giovani martiri della cristianità, preceduto dai SS. Innocenti, trucidati da Erode a Betlemme, Giulitta è sua madre.
Durante la persecuzione di Diocleziano ad lconio, città della Licaonia (regione dell’attuale Turchia) si trovava Giulitta, donna ricchissima e d’alto lignaggio, la quale era rimasta vedova con un figlio in tenera età battezzato coi nome Quirico. lasciata la sua città e i suoi averi, per sfuggire alla feroce persecuzione, scese con le sue ancelle verso la Seleucia. Ritenne però prudente proseguire per Tarso, nella Cilicia, dove fu raggiunta e fatta arrestare coi suo bambino dai crudele governatore romano Alessandro, con l’accusa di essere cristiana. Sottoposta a lunghi interrogatori al fine di farla abiurare, rifiutandosi di sacrificare agli dei, confessò con fermezza: lo sono cristianà. Intanto il governatore Alessandro, che aveva tolto il fanciullo alla madre, lo teneva, quale estremo strumento di persuasione sulle sue ginocchia. Ma, racconta la Leggenda aurea, il fanciullo vedendo battere sua madre cominciò a piangere e a gridare e, sentendola professarsi cristiana, con franchezza che ha del soprannaturale, fece altrettanto. Il governatore imbestialito, preso il bambino per un piede, lo scagliò dall’alto dei suo seggio al suolo dinanzi alla madre, in modo che la piccola testa andò a battere contro i gradini dei tribunale, sui quali “schizzarono le tenere cervella”. La madre, pur impietrita dal dolore, restò ferma nella fede ed anzi rese grazie a Dio perché il figlio l’aveva preceduta nella gloria dei Paradiso. Poi anch’essa, dopo strazianti torture, fu consegnata al boia per essere decapitata.
I loro corpi, raccolti da una fedele ancella, furono tenuti quiquinascosti fino a quando il clima di pace e di sicurezza dell’era costantiniana permise che fossero esposti in  luogo  pubblico. La data più probabile del loro martirio è il 15 luglio dei 304 (o 305), anche se la loro festa nella Chiesa occidentale è prevalentemente celebrata il 16 giugno.
Il racconto della Passione dei piccolo Quirico e di sua madre Giulitta ebbe tanta fortuna da venire presto, non solo estesamente divulgata, ma arricchita di particolari fantastici, tanto da far dubitare della sua stessa  storicità.  Non  molti anni dopo la loro morte il vescovo di !conio, Teodoro, su richiesta del vescovo Zosimo, avvalendosi di testimoni attendibili e documenti sicuri ricostruì fedelmente la drammatica storia di Quirico e Giulitta. l’estensione dei loro culto nel mondo cristiano è però una sicura garanzia dell’autenticità storica dei loro martirio.

In Occidente il loro culto si diffuse nel Medioevo soprattutto in Italia, Francia e Spagna. Il vescovo francese d’Auxerre S. Amatore (o Amanzio) tornando da una visita ai Luoghi Santi trasportò le reliquie da Antiochia a Marsiglia, dove furono deposte nell’Abbazia di S. Vittore. Amatore morì nel 418, e da quest’epoca comincia, forse, la diffusione in Occidente dei culto dei due SS. Martiri.
In Italia si contano una cinquantina di località che portano il nome di S. Quirico (o Chirico), ma ben più numerosi sono i luoghi di devozione (chiese parrocchiali e non, oratori, etc.).
In Campania è individuato come unico luogo di culto la chiesa di Balano (Salerno), dove la medievale devozione è attestata da un documento di vendita dell’801 (Codex Diplomaticus Cavensis 1,5 – Badia di Cava).
Il nome Quirico, precisano i linguisti, sarebbe la forma volgare di Ciriaco. Entrambi derivano da Kyrios (cioè Signore, in greco) ed equivalgono al latino Dominicus.