20ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO B
Canto
Atto penitenziale
Per quando non abbiamo cercato di essere ricolmi del tuo Spirito, di fare della tua sapienza il nostro nutrimento: Signore, abbi pietà di noi!
Signore, pietà!
Per quando non abbiamo fatto della nostra vita una eucarestia vivente, se non siamo stati in comunione fra di noi: Cristo, abbi pietà di noi!
Cristo, pietà!
Per quando non abbiamo testimoniato la gioia della comunione con te, se la nostra azione non ha avuto in te il suo inizio e in te il suo compimento: Signore, abbi pietà di noi!
Signore, pietà!
Gloria
Colletta
O Dio, che sostieni il tuo popolo con il pane della sapienza e in Cristo tuo Figlio lo nutri con il vero cibo, donaci l’intelligenza del cuore perché, camminando sulle vie della salvezza, possiamo vivere per te, unico nostro bene. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
LITURGIA DELLA PAROLA
Prima Lettura Pr 9,1-6
Dal libro dei Proverbi
La sapienza si è costruita la sua casa,
ha intagliato le sue sette colonne.
Ha ucciso il suo bestiame, ha preparato il suo vino
e ha imbandito la sua tavola.
Ha mandato le sue ancelle a proclamare
sui punti più alti della città:
«Chi è inesperto venga qui!».
A chi è privo di senno ella dice:
«Venite, mangiate il mio pane,
bevete il vino che io ho preparato.
Abbandonate l’inesperienza e vivrete,
andate diritti per la via dell’intelligenza».
Parola di Dio. Rendiamo grazie a Dio.
Salmo responsoriale dal Salmo 33 (34)
Rit. Gustate e vedete com’è buono il Signore.
Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.
Rit.
Temete il Signore, suoi santi:
nulla manca a coloro che lo temono.
I leoni sono miseri e affamati,
ma a chi cerca il Signore non manca alcun bene.
Rit.
Venite, figli, ascoltatemi:
vi insegnerò il timore del Signore.
Chi è l’uomo che desidera la vita
e ama i giorni in cui vedere il bene?
Rit.
Custodisci la lingua dal male,
le labbra da parole di menzogna.
Sta’ lontano dal male e fa’ il bene,
cerca e persegui la pace.
Rit. Gustate e vedete com’è buono il Signore.
Seconda Lettura Ef 5,15-20
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini
Fratelli, fate molta attenzione al vostro modo di vivere, comportandovi non da stolti ma da saggi, facendo buon uso del tempo, perché i giorni sono cattivi. Non siate perciò sconsiderati, ma sappiate comprendere qual è la volontà del Signore. E non ubriacatevi di vino, che fa perdere il controllo di sé; siate invece ricolmi dello Spirito, intrattenendovi fra voi con salmi, inni, canti ispirati, cantando e inneggiando al Signore con il vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo.
Parola di Dio. Rendiamo grazie a Dio.
Canto al vangelo Gv 6,56
Alleluia, alleluia.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue,
dice il Signore, rimane in me e io in lui.
Alleluia, alleluia.
VANGELO Gv 6,51-58
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gloria a te, o Signore.
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.
Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Parola del Signore. Lode a te o Cristo.
La professione di fede
Io credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra; e in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte; salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente; di là verrà a giudicare i vivi e i morti. Credo nello Spirito Santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne, la vita eterna. Amen.
Chi mangia
la mia carne
e beve il mio sangue
ha la vita eterna
La nostra preghiera di oggi
Prete: Preghiamo con fede il Signore che oggi si dona a noi come cibo di vita eterna.
- Servo del Signore, hai offerto te stesso come carne e sangue di salvezza:
– fa’ che le nostre comunità siano strumenti nelle tue mani di carità e unità. - Sacerdote del Dio Altissimo, ti sei offerto una volta per tutte in sacrificio:
– insegnaci a offrire a Dio noi stessi con te. - Gesù nostro Salvatore, hai accettato di bere il calice della passione:
– aiutaci ad assumere le sofferenze degli uomini. - Redentore degli uomini, hai chiesto di celebrare l’eucarestia in memoria di te:
– ridona l’unità a quelli che partecipano dell’unico pane. - Inviato del Padre, hai vissuto totalmente per lui:
– fa’ che ognuno di noi viva per te riconoscendo la tua immagine nel fratello. - Pane vivo disceso dal cielo, saziaci del tua amore e accogli accanto a te (…… e) i nostri fratelli defunti:
– rendici forti nella speranza.
Prete: Ti rendiamo grazie o Dio, Padre nostro, in ogni momento e per ogni cosa, nel nome di Gesù Cristo, nostro Signore: egli ci chiama alla sua tavola, e chi accoglie il suo invito vivrà in eterno. Egli è Dio e vive e regna… Amen.
Canto all’offertorio
Santo
Agnello di Dio
Antifona alla comunione
Dice il Signore: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo.
Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno». (Gv 6,51)
Comunione
Canto finale
Per la preghiera a casa
Orientamenti per la preghiera
Leggere nella bibbia: la salvezza di tutte le nazioni nell’antico testamento (Sal 46; 99; Is 19,16-25; 66; Zc 14); la salvezza dei pagani attraverso la fede (Rm 9-11).
Letture di domenica prossima, XXI del tempo ordinario B:
Giosuè 24,1-2.15-17.18; Salmo 33; lettera agli Efesini 5,21-32; Giovanni 6,60-69.
Al banchetto della Sapienza
Il tema della liturgia di oggi è senz’altro ancor più rivolto verso l’eucaristia, rispetto a quello, senz’altro già eucaristico, della domenica precedente; l’antifona al Vangelo riprende il vs 56 del testo di oggi, sottolineandone la dimensione di banchetto, sulla quale c’invita già a riflettere la prima lettura.
Il brano di Pr 9,1-6 costituisce il terzo e ultimo discorso della sapienza personificata che appare nell’introduzione al libro dei Proverbi (Pr 1-9; v. Pr 1,10-22 e Pr 8 per i primi due discorsi della sapienza). La Signora Sapienza è presentata come una donna, una persona reale, una figura di mediazione che, alla luce del celebre testo di Pr 8, è da un lato in stretto rapporto con Dio (addirittura è sua figlia!), dall’altro è presente nel mondo accanto agli uomini. Il problema dei saggi d’Israele era, infatti, come coniugare una sapienza umana intesa come arte del vivere con una sapienza che è, allo stesso tempo, dono di Dio; la figura della sapienza personificata risponde a entrambe le esigenze.
Nel nostro testo la Signora Sapienza è contrapposta, in modo evidente, alla Signora Stoltezza, presentata in 9,13-18; entrambe sembrano dire le stesse cose, ma la Stoltezza agisce con un astuto meccanismo di seduzione: chi la segue non si accorge che, in realtà, sta piombando nel mondo dei morti.
Ma veniamo al punto che ci interessa: nel suo discorso, la Signora Sapienza dice tre cose. La prima riguarda la descrizione della casa che essa si è costruita, una casa con sette colonne: il testo allude qui allo stesso libro dei Proverbi, che, nella sua parte centrale (Pr 10,1-31,9) è composto, non a caso, di sette raccolte. La Sapienza, figlia di Dio, presenta dunque se stessa: le sette raccolte che stanno di fronte al lettore, l’intero libro dei Proverbi, non è perciò soltanto il frutto della sapienza umana, ma è anche parola di Dio, offerta appunto dalla Sapienza.
La seconda cosa che la Signora Sapienza dice è il suo invito rivolto a tutti, senza eccezioni, perché ognuno partecipi al banchetto festoso che essa ha imbandito; un banchetto pubblico dal quale sono esclusi solo gli “stolti”, cioè quelli che non ci vogliono venire.
Qui si innesta il suo terzo messaggio: «A chi è privo di senno essa dice: “Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che ho preparato”». Ora, nella Bibbia, il mangiare pane e il bere vino sono, in diverse occasioni, simboli dell’ascoltare e del nutrirsi della parola di Dio; basti pensare al celebre testo di Is 55,1-2.10. L’offerta del pane e del vino fatta nel banchetto della Sapienza conferma quanto abbiamo prima osservato: la Sapienza è qui accostata alla parola di Dio; mangiare del suo pane e bere del suo vino è l’equivalente di ascoltarla; e ascoltarla significa ascoltare Dio stesso che parla.
In vista del rapporto con il testo evangelico mi sembra che il brano di Pr 9 possa suggerire due cose: la dimensione del banchetto festoso, nel contesto della quale è possibile collocare il “mangiare” e “bere” di cui parla Gesù, e la dimensione della parola di Dio. Probabilmente non ci sarà tempo di approfondire questo punto nella liturgia di oggi, ma senz’altro è qualcosa da ricordare per il futuro. Il “pane” e il “vino”, alla luce di Pr 9,1-6, vanno visti anche in relazione alla parola di Dio; ciò conduce ad interrogarci sul modo con il quale le nostre comunità vivono l’ascolto e l’importanza della Parola all’interno dell’eucaristia.
Il vs 51, che apre il brano evangelico, è lo stesso che aveva chiuso il testo della domenica precedente ed è stato reinserito per far meglio comprendere lo sfondo della discussione: i giudei restano sconvolti e scandalizzati di fronte alla proposta, fatta da Gesù, di mangiare la sua “carne”. Tutto ciò fa parte della tipica tecnica giovannea del fraintendimento: i personaggi del quarto Vangelo molto spesso ascoltano una cosa, ma ne intendono un’altra. Pensando a ciò che Gesù ha detto, i giudei credono che egli voglia realmente darsi in pasto agli uomini; più probabilmente quei giudei avranno pensato che Gesù è matto… Ma come sempre accade in Giovanni l’incomprensione dei personaggi serve all’evangelista per mettere ancor più in luce la figura di Gesù. La risposta di Gesù appare particolarmente solenne: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita». Riappare di nuovo la connessione già vista nel testo di domenica scorsa tra Eucaristia e vita (v. Gv 6,48-51). I versetti conclusivi del brano di oggi insistono proprio sul fatto che si tratta di vita “eterna”, cioè, nel linguaggio giovanneo, di vita con Dio: «Questo è il pane disceso dal cielo: non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono: chi mangia di questo pane vivrà in eterno».
La vita, com’è noto, è uno dei grandi temi che animano il Vangelo di Giovanni: è il motivo per cui egli scrive (Gv 20,31) ed è soprattutto il motivo per cui Gesù è venuto al mondo: «Io sono venuto perché abbiano la vita, e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10). Alla luce del grande discorso del capitolo sesto che stiamo leggendo in queste domeniche, la vita appare connessa non soltanto con la fede in Gesù e nella sua parola, ma anche con il dono del pane e del vino offerti come cibo ai credenti. Di nuovo è necessario interrogarsi su quale relazione vi sia tra Eucaristia e vita; è necessario anche chiedersi che cosa significhi per noi “vita”. Nel quarto Vangelo non si può parlare di vita senza parlare del rapporto con Dio vissuto attraverso Gesù e non si può parlare di vita se non in un contesto di dono, com’è evidente dai continui riferimenti che Giovanni fa alla morte di Gesù all’interno del discorso sul pane di vita.
Il Vangelo di oggi ha ancora qualcosa da dirci: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me, ed io in lui». Tocchiamo qui un altro tema caratteristico di Giovanni, il “dimorare” (v. ad esempio Gv 15,4-5, la vite e i tralci). C’è un dimorare di Gesù nel Padre e c’è un dimorare dei discepoli in Gesù; ciò avviene, nel nostro testo, attraverso il mangiare il suo corpo e bere il suo sangue. Celebrare l’eucaristia, allora, significa entrare in una vera e propria “comunione” con il Signore.
Qui – mi sia permessa una piccola parentesi rivolta soprattutto ai preti – qui tocchiamo argomenti non semplici da presentare: in queste domeniche d’agosto, nelle quali molte chiese sono vuote e molte altre, invece, piene dì ospiti in versione turistica, riuscire a parlare del “dimorare” in Gesù senza scivolare nel dolciastro o nel sentimentale, e, soprattutto, senza annoiare ì presenti, non sembra facile. Eppure una riflessione ben fatta può rivelarsi un modo per ritornare a ciò che davvero è essenziale: alla fine quel che davvero conta è il nostro rapporto con il Signore: «Rimanete nel mio amore», come si esprimerà più avanti lo stesso Vangelo di Giovanni (Gv 15,9). Ma in questo caso, occorre che la nostra riflessione sia vissuta in primo luogo da chi tali cose intende annunciarle.
Un’ultima osservazione su ciò che Giovanni ha ancora da dirci: «Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me ed io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me». Legata al dono della carne e del sangue del Signore appare qui l’idea della missione. Una missione che Giovanni intende non tanto come predicazione del Vangelo, quanto piuttosto, in modo senz’altro ben più radicale, come un “dare la vita”, sull’esempio di Cristo stesso, mandato dal Padre (v. Gv 3,16: «Dio, infatti, ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito… »). Ritorniamo qui all’idea già vista in precedenza che il sangue di Cristo e la sua carne offerta in dono rinviano prima di tutto alla sua morte sulla croce e quindi a una vita donata per gli altri. Celebrare l’eucaristia significa, rendere presente la salvezza, effetto di questo dono.
L’eucaristia diviene, in tal modo, la fonte della missione della chiesa: una comunità cristiana non può, pertanto, celebrare l’eucaristia e restare ferma al punto di partenza. Questo discorso lo ripetiamo da tanto tempo all’interno delle comunità cristiane, ma come sono, poi, le nostre celebrazioni? Siamo sicuri che chi vi partecipa ne esca consapevole della missione che l’attende, quel «dare la vita» di cui ci parla oggi Giovanni? Molto di più: ne esca convinto che per chi celebra l’eucaristia non è più possibile altro stile di vita che quello «per Cristo»?
Luca Mazzinghi
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