Domenica 10 gennaio 2021

Battesimo di Gesù – anno B

Prima lettura: Is, 55,1-11
«O voi tutti assetati, venite all’acqua…»

Seconda lettura: 1 Gv 5,1-9
«…chiunque crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio ; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi dalui è stato generato…»

Vangelo secondo Marco 1,7-11
«E vide… lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: – Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».

Questa domenica con il battesimo di Gesù al Giordano, si conclude il tempo di Natale, il tempo delle Epifanie cioè delle manifestazioni. Gesù, nato a Betlemme, si è manifestato ai pastori, come il Salvatore; si è manifestato nel Tempio agli umili, ai poveri di Israele, come luce per le genti.

Si è manifestato attraverso la figura dei Magi a tutte le genti come il re dei Giudei venuto per tutti. Il Dio in mezzo a noi. Ora con il battesimo che dà inizio a quella che sarà la vita pubblica di Gesù. Gesù si manifesta come il figlio amato da Dio. Ma questa scena, questo annuncio ha creato difficoltà fin dall’inizio nelle prime comunità cristiane: è una scena forte, scandalosa: Gesù che si mette in fila con tutti i peccatori, che va da Giovanni che battezzava (battezzare vuol dire immergere) che immergeva le persone nell’acqua come segno di conversione, di richiesta di perdono dei propri peccati, come dire “Io cambio vita. Io voglio vivere una conversione”.
Gesù sceglie di mettersi infila assieme a tutti i peccatori e si fa passare da peccatore. Vengono in mente le parole che userà poi Paolo nella sua lettera ai Corinzi «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio». 2Cor 5,21
Gesù non solo è Dio che si fa uomo, non solo è Dio che si fa carne (cioè debolezza, fragilità, si fa come un bambino) ma si fa solidale anche con i peccatori, si fa peccato!
È come se avesse peccato, non avendo peccato. Questo è qualcosa di forte, che noi dobbiamo tenere in mente. Questo significa che non c’è situazione, non c’è peccato che noi possiamo fare che ci allontani da Dio, che ci porti lontano da Lui.

Lo affermiamo anche nel Credo: “Gesù sceso agli inferi”, nel posto più lontano rispetto a Dio, perché non possa esistere situazione umana in cui noi siamo abbandonati da Lui. Lui ha redento tutto perché noi potessimo stare con Lui sempre, perché ogni volta che noi apriamo il nostro cuore alla sua parola, a Lui, alla sua presenza possiamo ripartire da capo. Possiamo continuare il nostro percorso con Lui.
Lui ha preso su di sé la nostra condizione di peccato, anche di situazioni di male. Questa è la logica dell’incarnazione: il farsi non solo vicino, ma a prendere su di sé tutta la nostra realtà, la nostra situazione, a farsi solidale con noi, anche nel peccato.
E allora le immagini che Marco ci descrive anche in maniera sintetica, sono immagini forti, diventano importanti: Gesù che si fa immergere come gli altri nel Giordano da Giovanni, e subito dopo dice che “vide squarciarsi i cieli”.
Ora dobbiamo pensare che al tempo di Gesù la conoscenza della realtà, del cosmo era diversa dalla nostra, abbiamo ora altre conoscenze, altri strumenti di conoscenza, loro pensavano che la terra fosse piatta, chiusa dentro una sorta di calotta che reggeva le acque. C’erano delle acque inferiori, cioè i mari e i fiumi, e poi c’era questa calotta che reggeva le acque superiori che ogni tanto scendevano sotto forma di pioggia, che chiamavano i cieli, Dio abitava sopra i cieli. Già nella Genesi si parla dello spirito di Dio che aleggiava sulle acque, erano le acque superiori, al di sopra delle quali c’è Dio che le domina.
Ecco l’immagine che Marco descrive dei “cieli squarciati” sta ad annunciare che ciò che separa Dio dagli uomini non esiste più, che questa calotta che separava il luogo dove stava Dio dalla terra, dove vivono gli uomini è strappata per sempre.
Non c’è più separazione tra Dio e l’uomo, non c’è più bisogno della casta sacerdotale che media per arrivare a Dio. Non si arriva a Dio a forza di separazioni come era nella logica ebraica, Dio è qui in mezzo a noi, è dentro di noi si fa un tutt’uno con noi. Noi incontriamo il Signore e lo possiamo vivere davvero nella nostra vita, nella nostra carne, dentro di noi.
A questo proposito mi veniva in mente una cosa particolare. Quando siamo stati costretti a rimanere chiusi in casa per la pandemia e non c’era la possibilità di partecipare alla celebrazione dell’Eucarestia, molti hanno affermato che senza l’Eucarestia non si poteva andare avanti.
È vero: l’Eucarestia è essenziale, ma non nel rapporto personale. L’essere con Dio in un rapporto personale non è il frutto esclusivo dell’Eucarestia

perché noi possiamo vivere la comunione con lui attraverso l’ascolto della Parola, la preghiera del cuore, in atti di carità e in ogni istante il Signore è con noi. L’Eucarestia diventa essenziale in rapporto alla comunità, crea la comunità.
Il rapporto personale, la comunione con Lui noi la viviamo in virtù del nostro battesimo che ci ha reso uniti definitivamente a Gesù. Questa consapevolezza deve illuminare la nostra realtà.
Le parole che dopo il battesimo il Padre rivolge a Gesù «tu sei mio figlio, l’amato, in te trovo il mio compiacimento, sono felice di te» richiamano il nostro battesimo.
C’è un “tu”, che vuol dire che esiste una relazione, un rapporto che il Padre cerca con ognuno di noi. Siamo chiamati a cogliere queste parole come rivolte a noi, in virtù del nostro battesimo. Di una immersione non tanto nell’acqua quanto nel battesimo di Gesù che è il battesimo dello Spirito Santo: noi siamo immersi nell’amore di Dio!
Queste parole sono rivolte anche a noi. C’è un padre che si rivolge a noi con il “tu”, il tu prevede una relazione, è Dio che ci chiede di vivere questa relazione con lui, che ci dice “tu sei figlio”. Non siamo servi, non siamo schiavi, siamo figli, siamo cioè in una relazione profonda con lui che ci è padre. Non solo, siamo figli amati. In questa parola “amato” è lui che dona tutto se stesso a noi, noi siamo l’oggetto del suo amore, noi siamo completamente amati da lui, e noi siamo la sua gioia. Io trovo in te il mio compiacimento, sono contento di te. Sono le parole che noi dovremmo ricordarci ogni giorno. Pensando al nostro battesimo dovremmo gioire ricordandoci queste parole. Sono le parole che i genitori dovrebbero rivolgere sempre ai figli con la benedizione. Sono parole che ci ricordano che in Gesù noi siamo totalmente amati e immersi in questo amore di Dio e possiamo sperimentare la gioia di essere in comunione con lui, di chi si lascia riempire da quest’amore.
Allora accogliamo questa logica di un Dio che si incarna, che diventa presente in mezzo a noi e assume su di sé la realtà umana e non solo, assume anche la nostra condizione di peccato. Lasciamo il cuore aperto alla gioia, alla gioia di sentirci figli amati: “Tu sei mio figlio, ti amo, voglio gioire in te!”. Se sentiamo questa voce, la giornata sarà diversa, illuminata da un amore promesso e donato, e anche il sole sarà più luminoso.

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